
Mi è capitato di leggere su GQ Italia una interessante intervista a Paola Malloppo, fotografa.
Riporto qui alcune frasi che mi hanno colpito proprio perché, dette da una donna, tolgono ogni dubbio circa quello che potrei voler dire se le dicessi io:
[…]
Cosa spinge una donna a scattare questo genere, spesso raccontato come qualcosa che oggettifica la donna?
«Sfatiamo questo mito: la fotografia erotica non oggettifica la donna, al contrario, la emancipa. Io di questo sono fermamente convinta: che quando una donna si mette nuda davanti ad un obiettivo, allora ha finito di preoccuparsi di quello che potrebbero pensare gli altri. È una grande vittoria personale secondo me, che poi si ripercuote su tutta la categoria femminile. È un atto di femminismo. Io, dal canto mio, sono contenta di far parte di questa macchina.»
Pensi che ci siano delle contraddizioni in questo genere?
«Non vedo denigratoria la fotografia erotica. Non la mia, almeno. Certo, poi ci sono i fotografi della giarrettiera e tacco a spillo che un po’, secondo me, mortificano la categoria… quelle pose plastiche, immobili, legate ad un cliché che rendono la donna davvero poco partecipe della situazione, ecco, per me quella è una cosa brutta, prendere una ragazza e trasformarla in un manichino alla mercé del fotoamatore di turno. Ma io credo che quella non sia neanche fotografia erotica (adesso per questa affermazione mi segnaleranno il profilo, già lo so!). Anche l’atto di sottomissione (dallo shibari alla fellatio) che spesso è l’atto denigratorio per antonomasia, dipende dal permesso che la donna dà di fare certe cose. L’uomo sembra così potente, ma c’è sempre dietro un accordo tra le parti; questo va tenuto bene a mente.»
Le evidenziazioni in giallo sono mie, e le condivido al 200%.
Il testo completo dell’intervista lo trovate qui.
Paola Malloppo la trovate su Facebook o su Tumblr